Quando si parla di Clima e di Groenlandia ci si trova a scontrare con la classica leggenda negazionista secondo cui 1000 anni fa, ai tempi della colonizzazione vichinga, la Groenlandia fosse una terra libera da ghiacci.
Vediamo pertanto di fare chiarezza su questo mito con riferimento alla discussione elaborata dal portale climalteranti.it che riportiamo di seguito.
Tornando alla tesi negazionista che vede:
..il vichingo Erik il Rosso ha dato quel nome ad un’isola oggi coperta dai ghiacci per l’84% della sua superficie, allora faceva molto più caldo di oggi e quindi non dovremmo preoccuparci del problema del riscaldamento globale.
Una tesi che troviamo disseminata in vari commenti e testi come un articolo pubblicato su Il Giornale, intitolato “Ecco perché prendere il sole è un lavoro da scienziati“, un testo contenente molte inesattezze come:
Il grande pubblico è convinto che la scienza della meteo-climatologia abbia capito tutto su passato, presente e futuro meteo-climatologico di questa navicella spaziale detta Terra, che gira attorno al Sole. Se così fosse la meteo-climatologia dovrebbe avere una matematica in grado di spiegare com’è nato l’enorme deserto del Sahara (che era una splendida distesa di verde) e come la Groenlandia («Terra verde» in inglese) sia diventata un’enorme distesa di ghiaccio…
Tralasciando l’aspetto matematico,.. è facile smentire, ragionando un minimo, che la Groenlandia sia passata in soli 1000 anni da terra verde a un’enorme distesa di ghiaccio.
Un primo motivo lo si può capire se si approfondisce la genesi del nome, secondo quanto raccontato nelle saghe vichinghe, Erik arrivò in Groenlandia nel 982 d.C.
Era scappato dalla sua terra, il sud-ovest della Norvegia, a causa di alcuni omicidi. Arrivato dapprima in Islanda, anche qui rimase coinvolto in fatti di sangue.
Ritiratosi in una fattoria battuta dal vento, dopo altri guai ricevette il corrispondente dell’attuale “foglio di via”: la messa al bando per tre anni.
Si avventurò quindi in acque ignote verso ovest, e raggiunse il sud-ovest della Groenlandia.
La Groenlandia di Erik il Rosso era una terra con estati brevi e inverni lunghi e difficili. Ma per i Vichinghi abituati agli eccessi climatici, la quantità di pesce, di pascoli, di mammiferi marini e uccelli commestibili ne facevano una zona migliore rispetto a quella da cui provenivano.
Per aumentare le probabilità di sopravvivenza di una comunità in una terra comunque inospitale, in cui la vita, la sopravvivenza, era durissima per molti mesi all’anno, Erik aveva bisogno di ingrandire l’insediamento.
Doveva convincere altri a seguirlo in questa terra, e ci riuscì. Allo scadere del bando tornò a casa con racconti di una terra così fertile che chiamò “Terra Verde”: un nome attraente, una sorta di Marketing primitivo.
Risultato: venticinque navi di potenziali coloni presero il mare con lui e quattordici raggiunsero quella che venne chiamata la “Colonia orientale”.
Il nome “Terra Verde” non è una prova schiacciante di un clima molto più caldo dell’attuale nella Groenlandia dell’anno Mille.
Indubbiamente era una terra più calda e ospitale dell’Islanda e di quanto sarebbe stato nei secoli successivi.
Ma in una certa misura “Terra Verde” è stata anche una trovata pubblicitaria di chi, costretto a scappare dall’Islanda, voleva convincere altri a seguirlo.
Nel nome dato a un luogo non c’è solo il futuro, atteso, ma anche il proprio passato, il proprio punto di vista.
Un indio dell’Amazzonia difficilmente chiamerebbe Terra Verde un’isola quasi interamente nel circolo polare artico e ricoperta per l’80% dal ghiaccio (d’estate). Per un islandese potrebbe essere diverso!
Nella toponomastica mondiale i nomi che riflettono un’aspirazione, un’esagerazione, più che la realtà dei luoghi, non sono un’eccezione.
Sfogliando un atlante non mancano esempi di terre, città e vallate verdi, rosse, blu, arancio. Ma anche d’oro e d’argento. Generalmente i nomi non sono presi troppo alla lettera.
Nel nome della Groenlandia, così come nelle tante saghe vichinghe che raccontano di pascoli, di un clima gradevole in cui c’è anche la raccolta delle mele, non abbiamo la prova che le temperature medie del pianeta fossero allora molto più calde di quelle di oggi.
Abbiamo, questo sì, degli indizi che il clima della Terra non è sempre stato dappertutto lo stesso e in quella zona le temperature sono state più calde in quel periodo che nei periodi immediatamente precedenti e successivi.
Lo confermano ritrovamenti archeologici, che hanno indicato insediamenti in aree oggi irraggiungibili perché bloccate dai ghiacci, anche più a nord della costa occidentale della Groenlandia in cui si stabilì Erik il Rosso.
Ma molte delle rovine sono nelle aree verdi sulla costa sudoccidentale, in mezzo a prati anche oggi rigogliosi.
Le zone verdi sono anche oggi ristrette ad alcuni fiordi lunghi e stretti che si inoltrano profondamente nell’entroterra, protette dal freddo delle correnti oceaniche.
Un secondo motivo per cui la leggenda Groenlandia-terra-verde è confutabile è che l’età dei ghiacci, determinata dalle stratigrafie di “carote” prelevate dai ghiacci stessi, è di centinaia di migliaia di anni.
Infine, la pietra tombale sul caldo dei tempi di Erik il rosso è uno studio molto approfondito pubblicato nel settembre del 2009, che analizzando i sedimenti lacustri in tutta la zona Artica, Groenlandia compresa, ha concluso che il decennio 1998-2008 è stato il più caldo dei 200 decenni che compongono gli ultimi 2000 anni.
Il grafico seguente non ha bisogno di molti commenti.
Al di là della mitologia negazionista, sarebbe il caso di ricordare che i ghiacci della Groenlandia fondono ad una velocità impressionante, con una perdita media annua nel periodo 2003-2012 di 260 miliardi di tonnellate l’anno (Gt/a), con un valore record nella stagione di fusione 2012 di 570 Gt/a.
Come scriveva l’IPCC nel suo precedente Report
C’è confidenza alta che un riscaldamento sostenuto, al di là di una certa soglia, porterebbe alla perdita quasi totale della calotta glaciale della Groenlandia, nel corso di un millennio o più, causando un innalzamento del livello medio globale del mare fino a 7 m.
Testo di Stefano Caserini, riferimento a climalteranti.it, IPCC