Uragani e loro classificazione
Il fattore fondamentale per la formazione di un uragano è, come detto prima, un flusso molto intenso, ma anche prolungato nel tempo, di calore e di umidità dal basso e cioè dalla superficie terrestre.
Ciò è possibile solo da una sorgente ad alta capacità termica, quali sono gli oceani, purchè la temperatura delle acque oceaniche sia superiore a 26.5°C, non solo in superficie ma anche nella parte sottostante, fino ad almeno di 50-80 metri di profondità.
Le grandi masse d’acqua marine a latitudini intertropicali e subtropicali possono avere queste caratteristiche, ma le hanno soprattutto quelle localizzate in alcune aree dove per la concomitanza di fattori geografici e meteorologici, le temperature marine sono normalmente le più alte.
Queste aree preferenziali di formazione degli uragani sono, per l’oceano Atlantico: il Golfo del Messico e la zona di mare circostante, interessata, tra l’altro anche dalla corrente del Golfo, ma soprattutto l’area dell’Atlantico centro-occidentale compresa tra le isole di Capo Verde ed il Golfo di Guinea).
Siccome con il riscaldamento climatico, la temperatura degli oceani tende ad aumentare e tende anche ad espandersi la superficie degli oceani con più alte temperature, ne consegue che non solo è favorita la condizione fondamentale per la formazione degli uragani, ma viene anche ampliata la superficie marina idonea alla loro formazione.
Dunque, con il riscaldamento climatico dobbiamo aspettarci uragani più intensi (per la maggiore temperatura delle acque) e in maggior numero (per la maggiore estensione spaziale della superficie marina con più alte temperature).
Tuttavia, l’alta temperatura delle acque oceaniche, quantunque sia una condizione assolutamente necessaria, tuttavia non sempre è anche una condizione sufficiente.
Devono sussistere, infatti, anche alcuni fattori concomitanti favorevoli, ma, soprattutto, almeno qualcuna delle seguenti condizioni:
- scarsa ventosità e, comunque, le correnti orientali intertropicali, sia al suolo che in quota, devono essere più deboli del normale: questa condizione favorisce la creazione e lo sviluppo di moti convettivi verticali che interessano tutta la troposfera;
- scarso shear del vento, vale a dire scarsa variazione della velocità e della direzione del vento con la quota: questa condizione implica l’assenza lungo la verticale di stratificazione di masse d’aria differenti e di moti laminari delle masse d’aria e, quindi, il rimescolamento verticale viene favorito;
- alta pressione a livello della tropopausa (12-15 km di quota) e bassa pressione al suolo: questa condizione implica che l’intera troposfera è dilatata e che sussistono già condizioni di instabilità per motivi termodinamici;
- presenza di aerosol atmosferici, questa condizione implica che la condensazione del vapore attorno a tali aerosol (che diventano nuclei di condensazione) viene favorita, e quindi la formazione delle nubi viene facilitata ed accelerata
- assenza, per quanto riguarda gli uragani atlantici, del fenomeno di El Nino sul Pacifico, che a causa delle modifiche che induce sulla circolazione atmosferica, perturba i fattori precedenti.
Gli uragani sono classificati in USA secondo una scala (scala Saffir-Simpson) basata sulla velocità media dei venti massimi al suolo che si sviluppano in seno all’uragano:
- categoria 1: uragano minimo (vento compreso fra 33 e 42 m/s)
- categoria 2: uragano moderato (vento compreso fra 43 e 49 m/s)
- categoria 3: uragano esteso (vento compreso fra 50 e 58 m/s)
- categoria 4: uragano estremo (vento compreso fra 59 e 69 m/s)
- categoria 5: uragano catastrofico (vento superiore a 70 m/s)
Se la velocità del vento è inferiore a 33 m/s ma superiore a 18 m/s si tratta di tempeste tropicali, mentre al di sotto di 18 m/s si parla semplicemente di depressioni tropicali.
Inoltre gli uragani di categoria 3, 4 e 5 vengono complessivamente denominati uragani maggiori, perché potenzialmente molto più distruttivi, rispetto a quelli di categoria inferiore.
La scala Saffir-Simpson, è una classificazione adottata negli USA nel 1974, ma non è riconosciuta ufficialmente a livello internazionale, anche se comunemente accettata.
Questa scala, in pratica, suddivide gli uragani in base alle velocità medie massime del vento al suolo per dare una semplice e immediata indicazione della loro forza e delle loro possibili conseguenze catastrofiche.
Ad ogni categoria sono, infatti, associati alcuni effetti, come l’entità delle depressioni bariche corrispondenti, l’altezza massima delle onde marine che si generano e la descrizione dell’entità dei possibili danni.
E’, insomma, una scala simile alla scala Beaufort o alla scala Douglas per classificare la forza del mare e rassomiglia, per molti versi, alla scala Mercalli per classificare i terremoti.
Una volta classificati in questo modo gli uragani, è possibile, a posteriori, stimare l’energia cinetica della masse d’aria coinvolte nell’uragano, ma non è possibile capire né le dimensioni o l’evoluzione nel tempo dell’uragano, né è possibile risalire alla sua energia interna complessiva (comprensiva cioè dell’energia cinetica e di quella termodinamica relativa alla formazione delle nubi e di cambiamento di stato del vapor d’acqua).
Essendo una scala descrittiva, piuttosto che un insieme di dati e metadati, non è molto utile nel campo della ricerca climatica, pur avendo una sua validità nel campo della meteorologia operativa e delle previsioni del tempo.
Tuttavia, supponendo che tutti gli uragani siano più o meno uguali, sia in termini di dimensioni che di evoluzione nel tempo, è possibile dimostrare che il rapporto tra energia complessiva posseduta da un uragano (energia interna) ed energia cinetica sviluppata, è circa costante ed è pari a 400.
In termini quantitativi, questo significa che un uragano medio che sviluppa sotto forma di energia cinetica una potenza attorno a circa 1,5 terawatt (ovvero 1,5 milioni di megawatt), possiede una potenza complessiva di circa 600 milioni di terawatt, che è equivalente a circa 200 volte la potenza elettrica di tutte le centrali del mondo.
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